Carlo Lucarelli - Famiglia Galiano

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Carlo Lucarelli

Recensioni

Carlo Lucarelli

L'ottava vibrazione


Einaudi Stile libero pp. 458 € 19.00





Il romanziere e giornalista Carlo Lucarelli, conduttore su Rai tre della rubrica Blu notte – Misteri italiani, rispolverando vecchi documenti di fine Ottocento, soprattutto dispacci di ufficiali in terra d’Africa con i dirigenti del governo Giolitti, nonché alcune memorie di ex combattenti di quell’assurda guerra di Adua, mette in risalto con il romanzo L’ottava vibrazione l’inutile sangue versato dai nostri soldati per giustificare le mire espansionistiche del colonialismo italiano nei pochi pezzetti lasciati in Africa dalle potenze colonialiste europee.
Viene menzionato l’ultimo approdo massiccio nel porto di Massaua (nei primi mesi del 1896) di soldati italiani, a supporto di altri salpati negli anni precedenti; la maggior parte di essi erano desiderosi di un riscatto più che patriottico, personale, nel contesto del proprio rango militare e sociale: militare per emergere con atteggiamenti intrisi di arrivismi, rivincite velleitarie; sociale perché come ufficiali provenienti dalla borghesia sognavano l’impero, come militari di truppa, di leva o volontari, provenienti da un ceto basso (contadini e artigiani di ogni regione d’Italia) speravano in un tozzo di pane promesso dalla “nobile” missione all’estero, perché portava “la ricostruzione e la civiltà” in quel lembo d’Africa.
Nel libro di Lucarelli, un romanzo da un forte respiro storico, c’è di tutto: avventurieri spregiudicati, una coppia di amanti che in preda alla passione cerca di far fuori il marito di lei; il filo conduttore è rappresentato da un carabiniere in incognito in cerca di un serial killer di bambini arruolatosi in Eritrea per sfuggire alla giustizia italiana.
Il romanzo sviluppa nello stesso tempo altre storie: quella di Branciamore ( soldato onesto) e di Sciortino (soldato umile): entrambi rispettano l’africano per quello che è e non come nemico; quella dell’altro versante, dei nemici, rappresentata dalla spia del negus, Ahmed e da Aicha, la cagna nera, che si fa beffa del soldato italiano.
Nel romanzo leggiamo pagine tipiche del diario di guerra, pagine dense di atrocità con dettagli storici reperiti negli archivi e sul luogo della tragedia. Il romanzo, comunque non descrive, come si potrebbe pensare, la battaglia di Adua. Non era questo l’intento dell’autore, semmai frammenti e connessioni con tale impresa.
Oltre al pregio documentaristico dei luoghi, dei fatti, dei personaggi ma anche della lingua parlata di quegli africani, sottolineo un aspetto: tra le righe traspare una certa sonorità nelle parole dialettali dei personaggi italiani, nel vissuto dei personaggi viene messo in risalto il caldo, l’afa, l’arsura, il sudore, la sofferenza di uomini non abituati a quel clima torrido e insopportabile che ne condiziona il fluire delle azioni e dei movimenti.
Chi legge il romanzo facilmente si porrà questa domanda: la sconfitta di un esercito occidentale in territorio straniero di un tempo non è per caso un ricorso storico che stiamo vivendo oggi con i nostri soldati in missione all’estero?
In merito a questa domanda mi sono venute in mente due considerazioni:

  • ho rivisto in molte pagine, sotto l’uniforme del soldato, di un sergente, inerme di fronte all’asprezza del terreno e all’afa, alla scarsità e inadeguatezza dei mezzi, un mio pro-zio, Luciano Barsanofio Galiano (difatti a febbraio del 1896 inizia la narrazione del romanzo), che, giunto all’inizio del 1896 nel porto di Massaua, dopo un corso di sergente a Milano, combattè ad Adigrat, Edagamos contro le truppe del negus Menelik II; in seguito alla battaglia/carneficina di Adua (zona Abba Garimà) del 1 marzo fu dato per disperso. A distanza di oltre un secolo, la famiglia inizialmente ha accusato la mancanza di un giovane promettente (era il primogenito di una famiglia numerosa) ed ora, trascorso il tempo di decantazione di affetti e di ricordi di quella brutta pagina di storia, ne sottolinea, attraverso i discendenti che ora interpretano meglio quella vicenda, l’incongruenza e l’irresponsabilità di quei politici e militari, per aver sacrificato con quelle scelte assurde preziose vite umane.
  • Alle varie missioni di pace a cui partecipa mio figlio ora, come militare, sergente - Kossovo (due volte), Albania e Afghanistan -, registro in lui una profonda convinzione e motivazione delle finalità nobili; ma bisogna aggiungere che come giovane è mossa anche dal desiderio di incrementare il suo mensile per una maggiore sicurezza della sua nuova famiglia. Chissà se sapremo fra qualche decennio le vere motivazioni che spingono il nostro occidente a intervenire con un esercito composito in zone ritenute “calde” del globo terrestre: sarà il fenomeno del terrorismo che minaccia gli interessi, la sicurezza, l’opulenza e la ricchezza? Sarà l’intento di riprendere il controllo militare e garantirsi le risorse di quella zona? Saranno gli interessi delle multinazionali a spingere le nazioni che formano “l’impero” in nome di un sacrosanto compito, quello di garantire la pace, portare lì la democrazia occidentale, preparando e facendo la guerra? Per il momento prevalgono le motivazioni generiche tipo: attuare un intervento militare per prevenire una guerra, fare quindi una guerra preventiva, prima che una contesa militare tra nazioni coinvolga il resto del mondo, considerato l’armamento militare sofisticato di cui sono fornite alcune nazioni emergenti, rispetto alla prima bomba atomica del 1945; difenderci dal terrorismo che comincia a organizzarsi nel nostro territorio… E comunque tutto ha dei rischi e dei costi, anche e soprattutto in vite umane, di militari e di civili. Ne vale la pena? Queste risposte-domande le giro a voi, aggiungetene altre o confutatele, se ritenete. Non possiamo starcene zitti di fronte a questo problema sollevato indirettamente da questo romanzo, in merito al ricorso storico dell’intervento militare in terre straniere.

E’ un romanzo da leggere. 


Angelo (Lino) Galiano



 
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